28 aprile 2007

Scudetti, ladroni, giornalisti e moviole.

di Massimo Bocchiola
http://www.juve2006.it

Nel giorno in cui l’Internazionale F.C. di Milano conquista con il consueto fair play e un singolare anticipo il suo primo scudetto sul campo dopo diciotto anni e si prepara a ridare l’assalto con il consueto fair play alla Coppa dei Campioni che le manca dal 1965 (ma l’ultima finale – quella conquistata con il consueto fair play nonostante la lattina di Moenchengladbach – l’ha giocata appena ieri: nel 1972), viene da fare almeno un pensierino.

È legittimo, questo scudetto? Secondo me, sì. Certo: da juventino, osservo compiaciuto l’angolo storto nei sorrisi nerazzurri, la nota falsa nelle trombe di vittoria, l’affanno dei tromboni-opinionisti che cercano di spazzare le ombre dal risultato. Certo: forse è risibile, questo scudetto: però dico ugualmente che è legittimo, perché è davvero ora di smetterla e da qualche parte bisogna cominciare.Dunque: il problema è chi da noi, in Italia, sancisce la legittimità dei risultati calcistici.

Non i tifosi (almeno non ufficialmente), per flagrante conflitto di interessi. Non le screditatissime istituzioni del football, nè tantomeno gli arbitri, da sempre cornuti, sudditi psicologici e asserviti ai poteri forti. La legittimità dei risultati calcistici in Italia la sanciscono le tribune televisive, le moviole e, forse ormai in subordine, la carta stampata: insomma, il quarto potere, il cerbero inflessibile che tutto controlla, tutto commenta, che dà voce alla pubblica indignazione (al «diffuso sentimento popolare») e spesso, un po’ per celia e un po’ per non morire, incassa i dividendi dello scandalo.

Beh, io temo proprio che l’equivoco peggiore stia nel processo degenerativo, capovolto in principio etico, dell’irresponsabilità del cronista: che per estensione, nel nostro mondo sommerso di notizie, diventa ahimé anche l’irresponsabilità di chi prevede e commenta. «Spero tanto che i fatti mi smentiscano», «sono felice di essermi sbagliato» e via baggianando sono formule da conversazione in casa o in tram che sembrano diventate cardini del codice professionale di una categoria.Naturalmente questo non riguarda solo la stampa sportiva, e non è solo un caso nazionale. Basta una rada frequentazione dei giornali stranieri, compresi quelli britannici «autorevoli» – lasciamo stare i tabloid – per averne continue riprove. Nostra caratteristica nazionale è però l’impudenza, la faccia di bronzo, la mancanza di dignità anche esteriore. Figurarsi a che punto può arrivare la sottocategoria del giornalismo sportivo, e in esso il sottobosco degli individui che campano esclusivamente di bagarre televisiva e tifo spudorato. Il cui mestiere è fare il testimonial romanista o interista, o il sottopancia di Mediaset.

Sotto questo aspetto, Aldo Biscardi inventando il Processo non ha fatto soltanto la storia della televisione, ma ha riscritto quella del calcio: osservando i primi anni di moviola ha capito che con la tecnologia si poteva far tutto, che si poteva creare un altro sport nazionale. Non so se abbia previsto che un ralenti, un fermo-immagine, un semplice commento, magari mutuato dalla peggiore consuetudine pseudogiuziaria italiana (l’arbitro «non poteva non vedere»… e perché, Shevcenko – Shevcenko! – poteva sbagliare a un metro da Dudek?) avrebbero messo in mano ai corifei del tifo più becero l’arma finale per avere sempre ragione.Non sorprende che, per molti di questi personaggi, l’antijuventinità sia parte integrante di un’immagine professionale e parte sostanziosa, spesso, dello stipendio. Il nostro calcio abbonda di presidenti-capipopolo pronti a passare da una città all’altra, da una squadra all’altra, ai quali nessun giornalista chiederà mai: senti, ma tu per caso non sei un evasore, o un ladro matricolato?

Non hai imboscato camion di milioni in Svizzera o alle Cayman? Tu vorresti moralizzare il calcio?… ma non ti hanno beccato con una valigia piena di soldi? Non importa a nessuno che il Napoli abbia vinto due scudetti tra goal in probabilissimo fuorigioco (e chi li ha mai rivisti? l’importante è trasmettere ogni anno quello di Turone), finanziamenti dubbi, Lucianoni in azione, sceneggiate di Alemao e del massaggiatore; non importa a nessuno che il grande Parma sia stato costruito su una tradizione inesistente (e il mio vecchio paesano Brera, con tutta la sua padanità e l’amore per il culatello, manifestò per questo un gran fastidio) e rubando letteralmente i soldi ai risparmiatori. No, perché queste squadre di faccendieri e di bancarottieri che alla fine, per lo più, se la svignano nelle loro ville in Botswana, «hanno fatto impazzire una città», «ci hanno regalato un sogno». E qual è il sogno? Vincere, non importa come.E qui ci siamo, finalmente.

Perché per vincere bisogna (quasi sempre) battere la Juve. E come mai la Juve è tanto difficile da battere? Eh, be’, ma certo: perché quelli sono ladri, incarnano il potere, pagano gli arbitri. Vialli si gonfiò di muscoli quando era alla Sampdoria? Cannavaro girò uno stupido, innocuissimo video goliardico sugli abusi di farmaci quando giocava nel Parma? Non importa: l’importante è che poi li comprò la Juve, anzi li comprò per quello, perché erano fetenti, adatti a entrare in un’associazione a delinquere. Cecità e malafede: è nato prima l’uovo o la gallina? Nel famoso campionato di Perugia, delle due partite giocate dalla Juve contro il Parma si fece il pelo e contropelo solo all’annullamento del goal di Cannavaro: il calcio d’angolo inesistente da cui scaturì, per non dire del goal in fuorigioco di Crespo all’andata, vennero ignorati. Ma come?

Come facevano a non vedere? Come facevano a non sapere? Quell’anno stesso, dopo un 2-2 proprio contro la Lazio, il presidente dell’Inter Moratti tuonò con il consueto fair play che l’arbitraggio, a suo dire scandaloso, non aveva mirato a favorire la Lazio, ma la Juve! Già, c’era la «banda»… erano i dieci anni di malaffare, no? Guardacaso, fu grazie a quel pareggio, oltre alla pallanuoto di Perugia, che il club di Cragnotti vinse il campionato. Va bene che Moratti venne ripagato il 5 maggio di due anni più tardi, quando la Lazio giocò contro i suoi nerazzurri un primo tempo da inchiesta federale, su cui nessuno in seguito volle approfondire perché su, dài, in fondo l’Inter aveva vinto lo scudetto con il consueto fair play dopo ben tredici an…Ehm… forse la memoria mi inganna? Ho sbagliato qualcosa?Meglio tornare alle uova. Dunque: basta girare la frittata, e il gioco è fatto. I favori arbitrali alla Juve sono corruzione, e i torti… mah?

Giustizia distributiva? Globalizzazione dal basso? Dove sta la differenza fra il rigore di Iuliano su Ronaldo e il goal di Vieri (o Toldo) con ostruzione su Buffon da parte di tutta la rosa dell’Inter (alcune centinaia di persone)? Forse che quell’ostruzione fu commessa con il consueto fair play? No, insomma, allora qui non si fa più sul serio. Crediamo veramente che questa sia informazione, e non la guittata tristanzuola di soggetti dal dubbio reddito, ben lieti all’occorrenza di esacerbare gli ultrà («non li giustifico ma li si può capire, la loro squadra è presa di mira, questi ragazzi si svenano per seguire i loro idoli») per poi ripetere, se ci scappa il morto, che «dobbiamo darci tutti una regolata» e «qui ci piace anche scherzare, e poi via… anche un po’ di polemica non guasta»?

Qualche anno fa, al Processo, ci fu un giornalista sportivo di primo piano (devo battermi il petto, ma non ricordo il nome) che, dopo un fatto di violenza avvenuto in uno stadio settentrionale, dichiarò con perfetta serietà: «Al Sud, questo non succede… al Sud, c’è la sana caccia all’arbitro». Forse dovrebbe esistere un livello di giornalismo sportivo che ripudi queste esalazioni mefitiche di se stesso. Un giornalismo sportivo che tenga a vigilare su corruzione e degenerazioni non solo di arbitri e dirigenti delle squadre, ma dei propri esponenti. Che ritrovi l’orgoglio di una dignità professionale senza stracci più o meno sudici sventolati come bandiere.

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